Oxford, anni '90: sul luogo di un misterioso omicidio, uno studente argentino incontra Arthur Seldom, uno dei massimo esperti di logica. Per il ragazzo dovrebbe essere l'inizio di un soggiorno di studio all'estero, ma la morte della sua padrona di casa cambierà tutto.
Tratto dal romanzo La serie di Oxford del matematico e scrittore argentino Guillermo Martinez, il film è un thriller filosofico cucito maluccio.
I primi minuti della pellicola sono dedicati ad uno spaccato sulla vita del filosofo Ludwig Wittgenstein e il suo Tractatus logico-philosophicus. Potrebbe bastare e il film potrebbe finire così, dopo soli cinque minuti. Invece, ahinoi, la storia procede e si ingarbuglia fino all’inverosimile.
Non è tanto la corsa alla ricerca del delitto perfetto, inteso come quello che viene risolto in maniera sbagliata, ma una concatenata serie di giustificazioni poco realistiche.
Se la logica è la chiave di volta della storia, non è possibile che lo spettatore riesca a decifrare gli enigmi e scoprire gli assassini alla fine del primo tempo.
La pellicola è la prima in lingua inglese Alex de la Iglesia, dopo bei titoli come La comunidad e Crimen Perfecto. Di sicuro i noir grotteschi sono il suo forte; lo sbarco americano, invece, è dimenticabilissimo. E se si considera che lui ha definito Oxford murdes “la migliore pellicola che abbia mai girato”, siamo in presenza di un flop totale.
Non convince la sceneggiatura macchinosa, il doppio finale e il triplo salto mortale architettato per metterlo in scena. Per fortuna il ritmo non è lento e il rischio sbadiglio evitato.
Il protagonista Elijah Wood non riesce neppure con questo ruolo a togliersi di dosso i panni dell’hobbit tolkeniano. I suoi occhioni blu sembrano sempre sul punto di piangere e il ruolo da latin lover che conquista le donne non gli si addice.
Per il ruolo del professore erano stati fatti i nomi di Michael Caine e Jeremy Irons. Alla fine l’ha spuntata John Hurt che aggiunge alla sua galleria l’enigmatico personaggio.
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